Words_ diary

Gli oggetti non sono schiavi, segnano il presente e decidono il futuro.
Ci sono oggetti che cambiano le nostre abitudini, plagiano i nostri umori, si rendono indispensabili e influenzano direttamente la nostra vita. La moca, la forchetta, il calice…sono tra i tanti. Ma ci sono altri oggetti che invece vengono modificati dalle nostre abitudini e ne diventano specchio, finendo per rappresentare noi stessi agli occhi del mondo. Il Letto è l’oggetto che meglio rappresenta questa seconda categoria.
Quando ero una bambina ricordo lo sdegno di mia madre per un letto disfatto alle 10 del mattino. Rientrava dalla casa della sua amica, nonché dirimpettaia, col viso contorto dalla vergogna. Era per lei inconcepibile, e sintomo di cattive abitudini, che i letti fossero ancora disfatti dopo il momento della colazione e all’ora in cui tutti gli abitanti della casa si apprestavano a svolgere le loro mansioni quotidiane per le strade del mondo.
Quando mia madre non era in casa e noi evitavamo allegramente di recarci a scuola, c’era mia zia che eseguiva l’ordine imposto dalla mamma, e scendendo le cinque rampe di scale che separavano la sua candida e profumata dimora dalla nostra, si accertava che avessimo rimesso apposto i letti e soprattutto che lo avessimo fatto nel modo corretto; ogni elemento doveva mantenere una precisa angolazione e doveva combaciare perfettamente con l’altro: “il lenzuolo di sotto ben stirato”, quello “di sopra ben ripiegato” e il cuscino ben coperto dal risvolto del copriletto. Una precisione che rasentava la dittatura, insomma. Io me la ridevo sotto sotto, mi faceva quasi tenerezza vedere con quanta energia si dovesse svolgere un compito così semplice e poco funzionale: “ e poi a chi mai sarebbe importato della precisione del letto...”, mia sorella quasi piangeva.
Pochi anni fa mi trovai a vivere una travolgente storia d’amore con un ragazzo che visse nella mia stanza per otto mesi. Era un ragazzo che viveva viaggiando e aveva col letto un rapporto del tutto particolare; erano rari i momenti della giornata nel quale lo abbandonava, rappresentava la sua stabilità, la sua sicurezza. Non vi era ragione o motivo che lo inducesse a sistemarlo. Molto spesso si svegliava, accendeva la luce della lampada posizionata accanto al lato destro del cuscino e iniziava a leggere, si alzava quando aveva fame o sete.
Il primo letto che vidi, quando lo conobbi a Londra, lo aveva recuperato in giro, ed era l’unico elemento presente nella sua stanza. Su quel letto c’era tutta la sua vita, viveva tutta la sua vita. Quando volevo dormire con lui, mi facevo spazio tra gli oggetti.